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Il S.Ten. Zaino, esperto cultore della corretta alimentazione e dell'esercizio fisico, ci propone la rilettura di questo articolo pubblicato su L'Espresso qualche anno fa e che oggi, con la pandemia galoppante, suggerisce i comportamenti che potrebbero aiutarci ad affrontare meglio anche il corona virus!!!

Dall’Espresso: Lo sport che GUARISCE

I big killer vengono curati non con i farmaci (o non soltanto), ma con l'attività fisica. La struttura si chiama Curiamo (Centro universitario di ricerca interdipartimentale sulle attività motorie) e porta impresso nel nome un messaggio forte: il fatto che le attività motorie possano curare.

Ed è questa la novità: che lo sport possa prevenire, o ritardare, l'insorgenza della maggior parte dei malanni in cui ci imbattiamo è noto. Ma che possa anche curare, rendendo più efficaci i medicinali e, in taluni casi, sostituendoli del tutto, è un fatto che le autorità sanitarie stanno oggi prendendo molto sul serio. Hanno cominciato gli emiliani circa un anno fa, quando l'Università di Ferrara, d'intesa con l'Azienda sanitaria locale e con i medici di famiglia, ha inaugurato un programma denominato proprio 'L'attività fisica come farmaco': 'L'espresso' lo aveva annunciato in attesa dei risultati che ora arrivano insieme a diverse altre iniziative.
A Ferrara il programma ha coinvolto 1.500 pazienti, molti diabetici, ai quali, spiega Francesco Conconi, direttore del Centro studi biomedici applicati allo sport dell'Università di Ferrara e responsabile del progetto: "L'attività fisica è stata prescritta dal proprio medico come una prestazione sanitaria". Risultato, racconta ancora Conconi: "I pazienti hanno un miglior controllo glicemico e un miglioramento di peso corporeo, circonferenza addominale, pressione arteriosa, colesterolemia. Con miglioramenti proporzionali al lavoro svolto. Non solo: anche la spesa sanitaria si è ridotta".
Nella città estense si è inoltre appena concluso, dopo 12 anni, un secondo progetto rivolto principalmente a persone che hanno avuto un infarto. "In questi anni", continua Conconi, "abbiamo arruolato più di 1.800 persone con pregresso infarto miocardico e abbiamo prescritto attività motoria adeguata alle loro capacità. I risultati sono impressionanti in termini di riduzione dell'ospedalizzazione e della mortalità". Come questo sia possibile lo ha indagato un recente studio pubblicato sull''European Journal of Medical Research' dai ricercatori dell'Heinrich-Heine-University di Düsseldorf che dimostra come l'attività fisica sia in grado, oltre che di favorire la nascita di nuovi vasi intorno al muscolo cardiaco, anche di mettere in moto le cellule staminali contenute nel midollo osseo. E così produrre un miglioramento dell'attività del cuore.
Oltre al fascino delle scoperte più recenti, sono però le acquisizioni che la medicina ha fatto da tempo a spiegare i benefici dell'attività fisica sull' apparato cardiovascolare: a lungo andare essa è infatti in grado di aumentare l'efficienza delle arterie coronarie, di ridurre la frequenza del cuore e della pressione nelle arterie periferiche. "È vero che i benefici che abbiamo notato si verificano in tutti i pazienti", avverte però Conconi: "Ma diventano vistosi soltanto in chi riesce a camminare a una velocità di 5 km orari o oltre. Un obiettivo che non è difficile da raggiungere". È questo infatti il primo segreto affinché l'attività fisica sia efficace: fare uno sforzo sufficiente a indurre cambiamenti strutturali nell'apparato cardiovascolare e nel metabolismo.
"L'altro è la regolarità", aggiunge Sandro Petrolati, direttore del Day Hospital del Dipartimento di Cardioscienze del San Camillo-Forlanini di Roma: "Due volte a settimana sono troppo poche: non inducono nessun cambiamento. Tre va già meglio, ma è superfluo dire che l'attività fisica dovrebbe essere quotidiana".
È poi opportuno non concentrarla in un breve periodo. "Ha poco senso massacrarsi di sport nel weekend perché si ha più tempo a disposizione e fare vita sedentaria durante la settimana", stigmatizza Petrolati. Così come insensato è alternare periodi di attività fisica a periodi di inattività.
Serve allora una strategia per convincere i malati a muoversi. Al Curiamo di Perugia, un team di specialisti (che comprende diabetologi, nutrizionisti, medici dello sport e laureati in scienze motorie, psicologi, psicopedagogisti e addirittura un operatore turistico eco-ambientale) guida i pazienti attraverso un percorso che parte dalla motivazione a cambiare stile di vita fino a condurli all'integrazione del movimento nelle normali attività quotidiane. "Ci sono due momenti essenziali per indurre un cambiamento", commenta Pierpaolo De Feo, professore associato di endocrinologia all'Università di Perugia e direttore della struttura: "Il primo è capire i motivi per cui la patologia è insorta e che cambiare stile di vita comporta dei benefici. L'altro è diventare consapevoli che si è in grado di farlo. Per convincere il paziente di questo, occorre concordare un programma che, passo dopo passo, lo porti a raggiungere livelli di attività fisica efficaci". E a volte funziona: il team di Perugia, dopo un'opportuna preparazione, è riuscito a far percorrere a una cinquantina di persone diabetiche ed ex obese la maratona di Milano. E a primavera si replica con una traversata dell'Italia a piedi, dall'Adriatico al Tirreno. Quasi quattrocento chilometri in 15 giorni.
Alla base di questa attività sul campo c'è un'intensa attività di ricerca dell'università umbra, soprattutto in campo diabetologico. Tra i diversi studi, uno pubblicato su 'Diabetes Care', ha evidenziato come i soggetti sedentari con diabete di tipo 2, se iniziano a camminare regolarmente 4-5 km al giorno hanno nel giro di due anni una riduzione media della pressione arteriosa, della circonferenza vita di 4-5 centimetri e del peso di 3 chili, della glicemia del 20 per cento, di colesterolo e trigliceridi del 30. Con una riduzione del rischio di infarto nei dieci anni successivi del 20 per cento.
Non solo: la ricerca ha messo in luce come l'attività fisica faccia bene anche ai sistemi sanitari che soffrono a causa degli elevati costi della cronicità. Correlando diversi livelli di attività fisica eseguita da pazienti arruolati, è emerso come la spesa sanitaria tenda a crescere nella popolazione inattiva, ma, man mano che il livello di attività aumenta, essa cominci gradualmente a scendere. Camminare 4 chilometri al giorno si traduce quindi in una riduzione dei costi per farmaci di 550 euro, per altre spese sanitarie di 700 euro, dei costi sociali indiretti di 110 euro. Per un totale di circa 2 mila euro per ogni persona diabetica. Dal momento che sono circa tre milioni in Italia, basta poco per tirare le somme.
E non sono soltanto diabetici e chi soffre di malattie cardiovascolari a trarre benefici terapeutici dal movimento. Agli anziani lo sport migliora la capacità cognitiva, promuovendo la crescita di nuovi neuroni e connessioni cerebrali. Inoltre, camminare è utile per migliorare il benessere di persone affette da ansia o depressione (vedi box qui sopra) e per quelle che soffrono di malattie respiratorie. Né mancano ricerche che suggeriscono che possa rendere più agevole il recupero da alcuni tumori.
Una messe di dati, insomma, che non lascia adito a dubbi sull'utilità terapeutica dell'attività fisica. E il viceministro al Welfare Ferruccio Fazio ha recentemente annunciato che sono allo studio progetti per inserire l'attività fisica nei Lea, le prestazioni sanitarie che spettano gratuitamente a tutti i cittadini. Con un occhio anche al possibile risparmio sulla spesa farmaceutica.
Tuttavia, quando si tenta di passare dalle parole ai fatti le cose cambiano. Secondo il 'Rapporto Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia 2008', redatto dall'Istituto superiore di sanità, soltanto un terzo dei cittadini italiani si è sentito consigliare attività fisica dai medici a cui si è rivolto durante l'anno. Eppure non sarebbe difficile convincere i dottori. A Trento, nel 2006, è bastato che l'azienda provinciale per i servizi sanitari distribuisse kit informativi per incrementare del 35 per cento il numero dei medici di famiglia che prescrivevano un po' di moto agli assistiti.